Domenica 17 aprile si deve andare a votare al referendum: un invito ad esercitare democrazia partecipata.
Faccio mie le parole del giurista e accademico Stefano Rodotà:
“Dicendo che non bisogna andare a votare, come sulle trivellazioni, si prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini. Che è una strada che percorriamo da anni. Si vuole far passare il messaggio che i referendum possono essere inutili, si aggirano, si ignorano...
Ma non è certo colpa dei cittadini. È il governo, e il Parlamento, che dovrebbero lavorare per dare attuazione a quanto indicato dalle consultazioni.
Con effetti pericolosi e non solo per lo strumento referendario. Perché il ridursi degli spazi di partecipazione istituzionale produce reazioni extra istituzionali: quando si demonizza il referendum, che sia proposto da una raccolta firme o dalle regioni non cambia, si sta dicendo ai cittadini che è inutile rivolgersi alle istituzioni e alla politica. E i cittadini, per come possono, si rivolgono altrove.
Lo strumento referendario, oltre agli effetti concreti sulle norme, quando è promosso dal basso verso l’alto, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, producono ricomposizione sociale di cui c’è molto bisogno, visto che ultimamente è stata favorita invece la frammentazione sociale, considerando superflui, ad esempio, i corpi intermedi.
Ed è quello che rivitalizza la democrazia e la politica”.
Mirella Picco